IL COSTRUTTORE DI PONTI: ANGHEL SALIGNY A CERNAVODĂ IN ROMANIA

La differenza fra opus e opera, in latino, è equivalente alla relazione che c’è, in greco, fra energheia ed ergon: ergon – proprio come opera – è il venire ad essere della forza intrinseca; può quasi dirsi il phainomenon dell’energia, il risultato, l’esito finale di quel flusso che percorre ed anima dall’interno una qualsiasi intenzionalità progettuale. Un pensiero del genere può essere facilmente esemplificato, in modo pratico e con la immediatezza propria delle immagini, da uno di quei ponti in ferro che sul finire dell’Ottocento (in pieno clima di rivoluzione tecnologica e sotto la spinta di modernizzazione del Vecchio Continente) hanno reso caratteristico il paesaggio infrastrutturale, urbano e suburbano, nei maggiori paesi dell’Europa industrializzata.

Nella fitta intelaiatura che tesse la trama di tiranti, puntoni, travi, plinti e tralicci dei ponti moderni, è come se fosse visibile, quasi distintamente leggibile – come se sfrecciasse in superficie – la corrente delle forze che partecipano dinamicamente alla leggi strutturali della statica e che governano sapientemente l’equilibrio dell’impalcato. Sembra quasi di rileggervi la stessa fluidità, quella dynamis che era percepibile nell’impianto gotico dei costruttori di cattedrali. Nell’Atene dei filosofi era detta hybris la tracotante superbia dell’uomo che sfida condizioni e limiti della statica, dell’ars regia.

Un ingegnere riesce a smascherare le tensioni che pulsano lungo le fibre della materia. Mette in esposizione gli scuotimenti sottocutanei che attraversano le cellule di un corpo al limite dello snervamento. Ti rivela la contrapposizione in gioco tra le forze di azione e reazione (ne vedi quasi i circuiti, l’andamento, come nello schema grafico di un manuale di scienza delle costruzioni). I primi ponti in ferro di metà Ottocento nella Roma papalina di Pio IX, come quello ai Fiorentini, demolito dopo la seconda guerra mondiale (FIG. 1) o quello dell’Industria all’Ostiense, del belga Louis Hach (FIG. 2), ne sono quasi la trasposizione visiva. Ancor più evidente il quadro reticolare delle trazioni e delle compressioni nel ponte sul fiume Forth in Scozia, dell’ingegnere ferroviario John Fowler. Impresa portata a termine con la collaborazione di Benjamin Baker fra il 1879 ed il 1890 (FIG. 2) – con la sua lunghezza complessiva di 1750 metri, ripartita in campate di 520 metri ciascuna – si presta davvero a parafrasi di come la sapienza tecnica renda possibile la visualizzazione delle energie celate, quello svelamento cui si alludeva poc’anzi. Parrebbe quasi di “auscultarne” il rumore di fondo, appena percettibile, come una vibrazione pitagorica. Sono le forze verticali ed orizzontali che confluiscono in quelle trasversali, tutte in tensione, come corde di un gigantesco strumento musicale.

L’amante dell’ingegnere è il titolo di una celebre tela di Carlo Carrà, il Carrà metafisico del primo dopoguerra. Vi compaiono una testa di manichino, una squadra, un compasso, un regolo, pochi oggetti sospesi nel silenzio, simboli muti (che sanno “raccontare” solo a chi ne intenda il linguaggio cifrato). La realtà (la latina realitas, da res) è il mondo delle cose. In inglese, osserva Gadamer, per dire niente (nihil, il ne-hilum dei Romani: “nemmeno un filo”) si adopera nothing che significa, alla lettera, nessuna cosa. Per deduzione sillogica allora, l’ente non è altro che la cosa stessa. Gli strutturalisti di ponti e grandi strutture, con la provocazione di questi rebus fatti di “oggetti”, suggeriscono l’inesprimibilità del non visibile, celato nel numero e nella geometria. Dal concreto all’idea e viceversa.

FIG. 1: Il ponte di ferro a S. Giovanni dei Fiorentini (Roma, 1863) in una vecchia foto d’epoca
FIG. 2: Il ponte dell’Industria, Roma Ostiense, del belga Louis Hach, inaugurato nel 1863 sotto papa Pio IX
FIG. 3: John Fowler e Benjamin Baker, ponte sul fiume Forth, Scozia (1879-90)

Sul finire dell’Ottocento l’ingegnere rumeno Anghel Saligny, seguendo le tracce delle coeve esperienze europee, si aggiudica un primato rimasto ineguagliato per lungo tempo: costruisce sulle rive del Danubio e di un suo ramo laterale, nelle vicinanze di Cernavodă – operoso centro industriale della Dobrugia a meno di 60 chilometri da Costanza sul Mar Nero – un ponte che si snoda, inclusi i viadotti, per 4 chilometri (dimensioni tra le più audaci nel Vecchio Continente). La luce della campata centrale è di 190 metri; la quota del ponte, sollevato da imponenti pilastri di cemento, è 30 metri sopra il livello dell’acqua, al fine di permettere il passaggio delle imbarcazioni di grossa stazza.

Inaugurato dopo 5 anni di lavori il 26 settembre 1895 (FIG. 4), il ponte era intitolato a Carol I sovrano del regno di Romania che presenziò alla cerimonia.

Ai lati del monumentale arco di accesso al vecchio ponte (FIGG. 5 e 6), posti a far da guardia alla Dobrugia come telamoni, due enormi statue in bronzo alte 5 metri, opera dello scultore francese Léon Pilet (1836-1916). Sono i cosiddetti “Dorobanți”, antico ed eroico corpo militare in forza all’esercito danubiano, distintosi nella Guerra d’Indipendenza della Romania contro gli Ottomani.

In seguito, durante il regime comunista che mirava a recidere i legami con i trascorsi monarchici del Paese (oltretutto di dinastia teutonica), il ponte assumerà l’intestazione dell’ingegnere che lo aveva ideato e con cui è oggi conosciuto, come si può vedere dal raffronto delle vecchie foto con le attuali (FIG. 7). Nato per velocizzare il collegamento fra la Capitale e il mare scavalcando il letto del fiume (FIG. 8), è stato battuto dalle locomotive per quasi cento anni, sino a quando nel 1987, dichiarato monumento nazionale, è stato dismesso, affiancato da un nuovo ponte parallelo a traliccio, con una corsia autostradale ed un più moderno tracciato ferroviario (FIGG. 9, 10, 11). L’immagine di Cernavodă sullo sfondo è profondamente mutata rispetto ad un secolo fa, dal momento che il suo sky-line è stato tetramente alterato dalla centrale nucleare qui impiantata ai tempi di Ceausescu.

In questa orditura di acciaio sembra quasi scorgersi la tessitura di quell’architettura del ferro fin-de-siècle che trova la sua massima espressione nella torre parigina di Gustave Eiffel. Non a caso Anghel Saligny (FIG. 12), che era nato in Moldavia il 19 aprile 1854 da una famiglia di ascendenza francese poi trasferitasi in Romania, aveva proseguito gli studi in Germania, dove si laurea in ingegneria e familiarizza con quelle che erano le novità e le tendenze estetiche dell’architettura centro-europea. Tornato a Bucarest fu tra i fondatori della locale scuola politecnica e nel 1892 fu nominato accedemico di Romania. Saligny muore nella Capitale il 17 giugno 1925. Oltre al ponte di Cernovoda Saligny è stato attivo nell’area portuale di Costanza, ove ha la possibilità di sperimentare sistematicamente l’uso innovativo del cemento armato per realizzare silos, passerelle, magazzini, funzionali ai traffici di quello che è il quarto scalo marittimo europeo.

Le merci, i materiali minerari, il legname, che sulle chiatte per secoli avevano risalito lentamente il corso del Danubio, attraversando i Balcani sino a raggiungere il cuore pulsante dell’impero austro-ungarico (che aveva esteso la sua influenza socio-politica e culturale anche sulla Romania), trovavano nel progresso tecnologico un impulso alla crescita economica e produttiva del Paese.

FIG. 4: Anghel Saligny, ponte Carol I a Cernavodă, inaugurazione del 1895
FIG. 5: Ponte Carol I, foto ricordo d’epoca ai piedi del bronzo di Léon Pilet raffigurante un Dorobanți, militare dello storico corpo armato della Dobrugia
FIG. 6: Campate del ponte Carol I a Cernavodă, a quel tempo – con i suoi 4 chilometri complessivi, compresi i viadotti- il ponte fluviale più lungo d’Europa. Ai lati del monumentale arco d’ingresso i Dorobanți di guardia
FIG. 7: Pilone intermedio del ponte di Cernavodă oggi intestato al suo costruttore, l’ingegnere rumeno Anghel Saligny
FIG. 8: Il susseguirsi di campate ideate da Saligny attraversa le acque del Danubio a 30 metri di quota, per consentire il passaggio delle navi
FIG. 9: Negli anni ’80 del secolo scorso il ponte in ferro è stato dichiarato monumento nazionale ed è stato affiancato da un nuovo ponte a traliccio con rete autostradale e tracciato ferroviario
FIG. 10: Il ponte di Saligny inquadrato dalla corsia autostradale
FIG. 11: I due ponti paralleli, quello di Saligny e quello inaugurato nel 1987, visti dall’alto
FIG. 12: Ritratto fotografico di Anghel Saligny (1854-1925), pluridecorato accademico di Romania. A destra: statua celebrativa dell’ingegnere, realizzata nel 1957 dallo scultore rumeno Oscar Han. Si trova a Costanza, nei giardini di boulevard Regina Elisabetta, antistante le rive del Mar Nero

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