Uno dei film meno noti di Vittorio De Sica regista è Stazione Termini, girato nell’autunno del 1952, su soggetto del fido Zavattini. Si avvale di un cast internazionale e di prestigio, ma pur sfoderando i nomi di Montgomery Clift e Jennifer Jones – in quegli anni sulla cresta dell’onda – al botteghino la pellicola non raccoglie i frutti sperati ed anche le recensioni dei critici non sono benevole. Ghiotta curiosità resta tuttavia la presenza, nei titoli di testa, dello scrittore americano Truman Capote, accreditato per i dialoghi in inglese dei due protagonisti.
L’impianto narrativo di Stazione Termini, distribuito sul mercato americano con il titolo Indiscretion of an American Wife, fu costruito sull’onda dell’inaugurazione del nuovo polo ferroviario di Roma, avvenuta nel dicembre del 1950.
IN ALTO: fotogrammi dal film Stazione Termini di V. De Sica (1953)
La costruzione secondo il progetto originario di Angiolo Mazzoni si interruppe negli anni della guerra. Ne resta l’ala che affaccia su via Giolitti, mentre la facciata, a conflitto concluso, fu ritenuta troppo monumentale e legata alla tronfia retorica di regime; per questo si decise di bandire un nuovo concorso, vinto nel 1947 ex-aequo dal gruppo degli architetti Leo Calini ed Eugenio Montuori e da quello di Annibale Vitellozzi, con Massimo Castellazzi, Vasco Fatigati, Achille Pintonello.
IN ALTO: plastico e prospetto del progetto originario di A. Mazzoni per la facciata monumentale della nuova Stazione Termini
L’elemento caratterizzante che ne decreta l’immediato consenso è l’ardita pensilina che si proietta dalla copertura dell’atrio verso la piazza antistante. La sua sagoma, flessuosa e leggera come un’onda sinusoidale, a dispetto delle masse e delle forze in gioco, si imprime come un segno marcato ed originale nel prospetto della nuova fabbrica. Nell’immaginario popolare viene assimilato alla curva di un “dinosauro” e ben presto così sarà soprannominato dai salaci Romani.
In alto: la Stazione Termini vista dall’alto (in una foto degli anni ’50)
IN ALTO: il progetto Montuori-Vitellozzi (1950)
Le Mura Serviane e sullo sfondo la facciata “a nastro” della Stazione Termini
Anche gli addetti ai lavori ne riconoscono la pregevolezza del risultato finale, uno per tutti il critico americano George Everard Kidder Smith che ne apprezza il contrasto fra modernità e storicità nella contiguità e continuità col glorioso passato della Città Eterna, esemplificato dai conci di tufo delle Mura Serviane che ne lambiscono la facciata (Italy Builds, New York 1955). E sarà sempre lui, qualche anno più tardi, ad incoronare Termini come “la più bella stazione del Vecchio Continente” (The New Architecture of Europe, New York 1961).
Roma, 21 marzo 2018 – Renato Santoro