Quando il tenore sociale ed economico dell’Urbe crebbe, di pari passo con quello culturale a contatto con il più evoluto ambiente magnogreco e greco, le più facoltose famiglie patrizie cominciarono a pretendere materiali di maggior pregio e prestigio, come i marmi importati dalle province conquistate, suscitando la disapprovazione dei conservatori più integerrimi e ad oltranza. Ma ormai i tempi stavano andando per la propria strada, a dispetto dei censori.
La chiesa paleocristiana di S. Bibiana, risalente al IV secolo, con le colonne di spoglio della classicità ben rappresenta la ricchezza dei marmi importati nella Capitale: graniti rossi e grigi d’Egitto e marmo a venature grigie di Grecia
Il marmo delle Alpi Apuane, il Carrara bianco, fu tra i primi reperibili ad essere impiegato, come per la piramide di Caio Cestio (del I sec. a.C.). Ma il serbatoio cui i Romani attinsero a mani basse erano le cave del Levante: dalle coste elleniche a quelle microasiatiche; dalla regione del Nilo alla Numidia. Dalla Grecia venivano i marmi bianchi: il Pentelico (Arco di Tito) e il Pario (colonne del tempio dei Dioscuri al foro), rispettivamente dalla catena del Pentele presso Atene e dall’isola di Paros.
Colonna scanalata in marmo pentelico (S. Giovanni a Porta Latina)
Colonna di marmo pario (San Cosimato, Trastevere)
Un marmo bianco, a struttura microcristallina, venato di bigio, estratto nella zona del monte Imetto, nell’Attica, era per i Latini il Marmor Hymettium (che noi oggi conosciamo come “greco fetido” o “marmo cipolla” perché nello scalpellarlo emana il caratteristico odore dell’idrogeno solforato, simile a quello della cipolla). Di imezio sono le maestose colonne di spoglio delle navate di S. Pietro in Vincoli (scanalate) e di S. Maria Maggiore (lisce).
Colonne in marmo greco venato dell’Imetto (S. Pietro in Vincoli)
S. Sabina, colonne di marmo Imezio (noto anche come “marmo cipolla” per il caratteristico odore emesso quando lo si sfrega)
Colonne di marmo caristio (Tempio di Antonino e Faustina)
Ravenna, marmo del Proconneso a S. Apollinare in Classe e a S. Vitale (età bizantina)
Roma, piazza di Pietra: colonne scanalate in marmo proconnesio dell’Adrianeo
Di marmo della Propontide sono anche i gradini della Scala Santa al Laterano
Il marmo Caristio o cipollino (si vedano le colonne del tempio di Antonino e Faustina) è una pietra metamorfica con nervature parallele di colore verde chiaro e scuro. Da Proconneso, isola della Propontide, odierno Mar di Marmara, arrivava il Marmor Proconnesium detto anche Cyzicenum dalla dirimpettaia Cizico, un marmo bianco a compatte venature grigio scuro, molto apprezzato dai bizantini e largamente utilizzato a Ravenna. Di proconnesio a Roma sono le colonne dell’Adrianeo a Campo Marzio.
Dal Peloponneso, estratto nelle cave del Tenaro (Capo Matapan), proveniva il Rosso Antico o Marmor Taenarium nelle varie colorazioni purpuree. Piuttosto costoso era utilizzato in architettura per decori o rivestimenti e principalmente nella statuaria. Molte le brecce colorate importate nella Capitale: il marmo Synnadicum o Phrigium, un pavonazzetto dell’Asia Minore con elementi bianchi su base violacea (colonne nella chiesa di San Lorenzo); da Teos, città microasiatica, proveniva il Marmor Luculleum noto anche come “Africano”, un marmo brecciato con nervature intense dal rosso al grigio; il marmo di Chio o Portasanta (dalla porta nella Basilica di S. Pietro) simile al precedente ma meno acceso; il Marmor Numidicum o Giallo Antico della Tunisia, a fondo giallo chiaro con venature di un giallo più scuro e rosse (colonne all’interno del Pantheon e Arco di Costantino).
Marmo di Chio (Cario o Jasense), chiesa di S. Anastasia
Marmo c.d. Portasanta (dall’isola egea di Chios), chiesa di S. Nicola in Carcere
Breccia gialla di Numidia (Pantheon)
Marmo “Africano” dall’Asia Minore (Centrale Montemartini)
Pavonazzetto di Frigia (Basilica di San Lorenzo)
Pavonazzetto (colonna dal tempio di Apollo Sosiano ricostruito nella Centrale Montemartini, Roma)
Porfido rosso (Tempio del Divo Romolo)
Colonne monumentali in porfido rosso (Battistero di San Giovanni)
Dalla regione aquitanica, nella Gallia, veniva importato il Marmor Celticum, altrimenti detto Nero e Bianco di Francia, a grana compatta nera con striature venate bianche, come nelle belle colonne dell’altare di San Lorenzo in Miranda al Foro Romano.
Dall’Egitto venivano i graniti, nelle colorazioni grigia (dal Mons Claudianus) e rossa (da Syene), delle cui diverse qualità sono esempi le colonne grigie e rosa nel pronao del Pantheon o quelle di granito grigio del foro Traiano. I Latini chiamavano il granito grigio Psaronius perché la colorazione ricordava il piumaggio dello storno (che in greco viene detto, per l’appunto, psaròs), oggi menzionato anche come “granito del foro” (da quello di Traiano); o granito “Claudiano” perché proveniente dalle cave di Mons Claudianus, nel deserto egiziano fra il Nilo e il Mar Rosso. Le sette colonne della facciata del Pantheon, quelle di granito bigio, sembra però che sia dell’Isola d’Elba – dove i Romani avevano cave di estrazione – e che già Vasari (Vite, Introduzione, capitolo I, Delle diverse pietre) indica come provenienti dall’arcipelago toscano.
In alto: mozziconi di colonne di granito grigio al Foro di Traiano
Le colonne del Pantheon. Delle otto colonne di facciata, sette sono in granito grigio, probabilmente provenienti dall’Elba e non dall’Egitto come invece lo erano quelle rosa della seconda e terza campata del pronao. L’ultima colonna a sinistra di facciata è in granito rosa, ma originariamente era anch’essa grigia, sostituita (come quella immediatamente retrostante, perché entrambe malridotte) – durante il restauro berniniano del 1666 – con fusti monolitici di colonna proveniente dalle vicine Terme Neroniane. Ne sono superstiti due tronconi nella limitrofa via di S. Eustachio, fotografati in alto a sinistra
Il granito aveva diverse pigmentazioni cromatiche, dovute alla distribuzione dei componenti. Molto bella la qualità di granito “bianco e nero” di Siene che troviamo a Santa Prassede (v. foto sotto: colonna all’ingresso del sacello di S. Zenone).
Infine non va dimenticato il pregiato porfido. Il porfido rosso, o Lapis Porphirites, è una pietra durissima di origine vulcanica effusiva (colonne del portale del tempio del Divo Romolo al foro) importata dall’Egitto; mentre il Lapis Lacedaemonius, un serpentino o porfido verde di Grecia, ha colore verde scuro, di provenienza dalla regione di Sparta, largamente usato in età imperiale. Nel calmiere emanato da Diocleziano del 301 d.C., Edictum de Pretiis Rerum Venalium, XXXIII, De Marmoribus, se ne segnala il suo costo elevato.
In alto: capitelli in rosso antico del Tenaro (Boston, Museum of Fine Arts) e in verde serpentino della Laconia (Ciborio di S. Saba)
Battistero di San Giovanni, colonna in granito rosso e capitello in serpentino verde
Battistero di San Giovanni, colonne strigilate in pavonazzetto frigio
Colonna scanalata in marmo frigio, chiesa di S. Giorgio al Velabro
Le chiese di Roma, che hanno attinto agli antichi edifici imperiali come a vere e proprie cave di marmo pregiato, sono oggi un manuale pratico di litologia ad uso e consumo dei moderni architetti. In alto: colonne strigilate di pavonazzetto all’ingresso si S. Sabina all’Aventino.
Roma, luglio 2015, arch. Renato Santoro
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